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mercoledì 12 maggio 2010

Per il prete una paternità spirituale

Perché i preti non possono sposarsi? Perché non possono fare sesso? Capiranno qualcosa di cosa vuol dire essere padri di famiglia? Tante volte mi sento fare queste domande e tante volte me lo sono chiesto anche io. Le motivazioni che sento portare a favore, oppure contro, sono motivazioni a volte profonde, a volte superficiali, mai banali però.
C'è una paternità fisica: per mettere al mondo un bambino basta poco. Ma c'è anche e soprattutto una paternità nello spirito, che è la vera paternità e maternità, quella quotidiana, quella che genera ogni giorno i figli dopo averli messi al mondo, quella che esprime costantemente amore. E' la paternità che genera Dio nel cuore, che rende strumenti nelle sue mani.
A volte mi dicono che un prete capirebbe meglio le persone sposate, solo chi vive certe situazioni riesce a capirle fino in fondo. E qui mi verrebbe da rispondere: allora un prete dovrebbe drogarsi per capire i tossicodipendenti, prostituirsi per capire le ragazze di strada, sposarsi e separarsi per condividere l'esperienza dolorosa dei separati, fare tutto e il contrario di tutto per capire tutto senza - io credo - capire comunque nulla e perdersi.
Altre volte sento parlare della solitudine affettiva del sacerdote; il sacerdote sceglie di vivere solo, ma non di essere solo affettivamente. Nei miei anni di prete ho incontrato persone sposate ed apparentemente felici, ma sole affettivamente da anni, che vivono sotto lo stesso tetto con il marito o la moglie, ma con il cuore altrove. Soprattutto i ragazzi chiedono: "Ma come fai a non fare sesso?". E anche qui, a cercare di fare capire (e questo sinceramente è meno difficile di quanto sembri) che si può fare sesso senza amore, ma si può anche amare senza fare sesso. E questo è uno dei segni più profetici del nostro tempo: il celibato vissuto con gioia ed entusiasmo.
"Il Regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova e va, vende tutti i suoi averi e compra quel campo". Io ho trovato questo campo e ho trovato questo tesoro. E per questo ho dato e continuo a dare tutto. E' questa paternità il mio tesoro: è la paternità spirituale, è il mio essere padre nello spirito. E se fino a qui ho parlato in termini più "negativi"; ecco invece la parte "positiva", quel "di più" che ci fa vivere un'esperienza più da vicino al Cristo, quell'esperienza che ci riempie il cuore e che non fa esserci spazio per altro. Cosa vuol dire essere "padri nello spirito"?
Essere padri nello spirito lo identifico tutto nell'espressione detta da Gesù: essere pescatori di uomini. Ho compreso questa espressione quando ho capito che le acque nella scrittura simboleggiano il caos, il disordine, la mancanza di senso. Rappresentano tutto quello in cui gli uomini non possono vivere, la vita senza un ordine preciso, magari piena di felicità effimera ma vuota di significato. Pescare gli uomini significa, quindi, accorgersi di chi vive nel disordine e tirarlo fuori.
E paradossalmente l'esperienza della paternità diventa ancora più profonda, quando non puoi fare nulla di concreto per la persona che hai davanti. Quando quello che doni, o meglio, quello che il buon Dio dona attraverso di te non è qualcosa di materiale, ma diventa fiducia nella vita, fiducia in Dio.
Quando qualcuno, per esempio, mi chiede di aiutarlo a pagare una bolletta, una volta che tiro fuori i soldi il problema è risolto; quando un povero mi chiede un pezzo di pane, una volta dato è sfamato.
Ma quando qualcuno chiede aiuto, cerca una corda da tirare per uscire, per non annegare, per aggrapparsi ad una speranza, lì la potenza di Dio passa attraverso la mia impotenza e diventa splendido ammirare la sua Misericordia e non il mio aiuto che posso dare.
Ricordo un povero che una mattina mi ha detto: "Non chiedo soldi, ti chiedo di ascoltarmi". E poi per tre quarti d'ora a raccontarmi tutta la sua vita. Ricordo Angela, una ragazza di Padova, prostituta, tossicodipendente e ammalata di AIDS, ora già in cielo, farmi questa domanda: "Secondo te, posso farla la Comunione? Dio vuole venire nel mio cuore?". Come un uomo di oltre sessant'anni, uscire dalla confessione e dirmi: "Grazie perché ci siete voi sacerdoti, fate rinascere la vita dentro".
Ricordo un carcerato in cella, e io con lui ad ascoltarlo e dialogare per oltre un'ora, senza poter fare nulla di concreto per lui. Ma dall'ascolto e dalla condivisione, vedere il suo volto uscire da un'espressione rattrappita e vedere rinascere la speranza e la voglia di lottare per uscire, per la moglie, per il figlioletto che lo sta aspettando.
Quando l'aiuto non è concreto, ma spirituale, quando l'aiuto diventa salvezza di Dio che ancora si china sull'umanità ferita, quando noi siamo semplicemente strumenti nelle sue mani è allora che ammiro la bellezza del suo Amore, ed è allora che mi chiedo perché ha scelto proprio me. Ma è allora che mi rendo conto di quale tesoro immenso Lui in realtà ha messo nelle mie mani.
Un tesoro che mi fa apprezzare ancora di più le bellezze di questo mondo, la bellezza di avere una moglie e una casa, la fatica di crescere dei figli, il dolore di lottare contro le difficoltà e gli imprevisti.
Ma un tesoro che mi affascina, mi fa sentire innamorato, un tesoro che mi fa lasciare tutto, proprio tutto, e che mi fa voler essere pronto a qualsiasi cosa, anche a morire. Per la mia famiglia che è il mondo intero; per la mia famiglia che è il singolo uomo che incontro ogni giorno. Per la Persona per la quale vivo, per la Persona che voglio amare con tutto me stesso, quella Persona che ora vedo solo negli altri ma che presto vorrei incontrare ed abbracciare: il Cristo.

don Valentino Porcile

articolo proposto da Mariagloria Ciuti

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